I conti pubblici, come conferma l’accesa discussione sul Nadef, documento essenziale sulla via della Legge di bilancio, sono tornati prepotentemente al centro dell’attenzione, non solo per quanto riguarda la solita “tenzone politica”, ma, fatto ben più importante, per tutto quello che si “portano dietro”. A partire dalla credibilità e dalla fiducia che il nostro Paese riscuote in giro per il mondo.
Parole che, tradotte in un linguaggio più “crudo”, possono essere rappresentate da 2 termini che ben abbiamo imparato a conoscere ed usare, tra loro strettamente collegate: rating e spread. “Gira che ti rigira”, ciò che conta è il giudizio dei mercati: questa, senza troppi giri di parole, è la realtà dei fatti.
Ancora una volta, come la storia (economica) più recente ci ha insegnato, verremo giudicati per quanto riusciremo a fare (o non riusciremo) sulla strada del risanamento dei conti, che si deve comunque accompagnare alla crescita se si vuole avere una qualche speranza di successo.
Da qui a dicembre, ben 6 (in realtà uno c’è già stato, il 29 settembre, peraltro non così negativo, da parte di KBRA) saranno le società di rating che “diranno la loro” sul nostro Paese. L’attenzione si concentrerà soprattutto su Moody’s, chiamata ad esprimersi il 17 novembre: non solo perché si tratta di una delle 3 “big” (insieme a S&P e Fitch), ma perché nell’ultimo suo report, nel maggio scorso, la sua valutazione non era stata particolarmente favorevole, avendo confermato un giudizio Baa3, ma, soprattutto, sancendo un outlook negativo, e quindi una previsione ancora più pessimistica sul futuro (almeno nel breve periodo). A preoccupare maggiormente, per la società di rating americana, era (e sicuramente rimane) la “tendenza” a creare nuovo debito, accompagnata da un rallentamento delle entrate fiscali. Elementi che purtroppo sembrano trovare conferma nei numeri trasferiti nella Nadef, da cui emerge che, da qui al 2026, il rapporto debito/PIL rimarrà pressochè invariato (dal 140,2 al 139,6%). In termini assoluti, invece, il debito dovrebbe superare la soglia dei 3.000 MD, un numero psicologicamente importante, che potrebbe avere ulteriori conseguenze negative.
Il giudizio delle società di rating, piaccia o no, ha lo stesso valore di una pagella.E, come tale, non è priva di conseguenze. Quando è particolarmente grave può portare, nel corso d’anno, nella speranza che ci sia un’inversione di rotta, ad una “convocazione” dei genitori: parafrasando l’autorità scolastica, può succedere che da Bruxelles, come ben sappiamo, qualcuno ci inviti a “fare 2 chiacchiere” per capire cosa “abbiamo in mente” (in passato ben sappiamo a cosa le “2 chiacchiere” abbiano portato).
Nel frattempo, però, i mercati non staranno a guardare, come già in questi giorni ci hanno fatto capire. A maggiore ragione allor quando i giudizi su di noi fossero oltre modo negativi. Se, infatti, portassero ad un pesante “down grade”, con un ulteriore abbassamento del livello in cui ora ci troviamo, si potrebbe correre il rischio che molti asset manager non potrebbero più inserire, nei loro portafogli, i titoli del nostro debito pubblico, se non, addirittura, essere costretti ad alleggerirlo. Un’ipotesi, a dire il vero, ad oggi piuttosto remota, ma non da escludere del tutto.
Anche da questo, per non dire soprattutto, nascono le preoccupazioni di Giancarlo Giorgetti, il Ministro dell’economia, il cui richiamo al realismo non passa inosservato: da ormai giorni ripete, infatti, che ciò che più teme non è il giudizio dell’Europa (con cui, dice, in un modo o nell’altro un accordo lo si troverà, con riferimento non solo ai conti ma anche alle “partite” in sospeso, come il Patto di stabilità o il MEF), quanto piuttosto quello dei mercati. I quali, brutalmente, sono abituati a “fare 2 conti” e a “pesare” il rischio. E la “legge dei mercati” si basa su una equazione molto semplice: maggiore è il rischio (o la percezione del rischio) maggiore è il prezzo che bisogna pagare per superare le perplessità e i timori di chi è chiamato ad investire. Come brutalmente ha detto, appunto, Giorgetti quando ha dichiarato che la sua preoccupazione è svegliarsi al mattino e pensare che anche quel giorno dovrà “vendere” il debito pubblico italiano a qualcuno.
Una “vendita” che, per l’anno prossimo, dovrebbe interessare qualcosa come € 320 MD di titoli, per lo più BTP, che andranno in scadenza e che sarà necessario rinnovare, magari aggiungendo qualcosa. Operazione che sarà ulteriormente complicata dalla fine dei QE della BCE, vale a dire il riacquisto da parte della Banca Centrale Europea dei titoli che, mese dopo mese, andranno in scadenza.
Probabile, quindi, che dovremo abituarci ad emissioni sempre più frequenti rivolte al pubblico “retail”, vale a dire le famiglie e i risparmiatori “domestici”.
Me è una testimonianza la nuova emissione del BTP Valore che inizia oggi e terminerà, salvo chiusura anticipata, il prossimo 6 ottobre. Un collocamento che fa seguito a quello, clamoroso, della scorsa primavera, quando il Tesoro raccolse oltre € 18 MD della nuova tipologia di titoli a tasso crescente. Se quello aveva una durata di 4 anni, quello in sottoscrizione da oggi avrà, invece, una durata di 5 anni, e sarà caratterizzato da un tasso che, per i primi 3 anni sarà pari al 4,10%, che poi passerà, per gli ultimi 2, al 4,50%. Come al solito, per chi lo deterrà sino alla scadenza, viene previsto un premio fedeltà che aggiungerà al rendimento uno 0,5%. In questo modo si calcolo che il rendimento medio dovrebbe essere pari a circa il 4,34%, che si riduce al 4,25% in caso non percepimento del premio. Altro elemento importante è la cadenza delle cedole, che, anziché semestrale, sarà, per la prima volta, trimestrale. Prendendo a paragone un titolo di pari durata (BTP dicembre 28, il più vicino alla scadenza del BTP valore in emissione), il rendimento lordo sarebbe del 4,14%, quindi circa 0,10-0,20% in meno rispetto a BTP Valore.
L’obiettivo del governo è chiaro: “riempire” le casse del Tesoro, andando a raccogliere un po’ dell’immensa ricchezza presente sui conti dei risparmiatori italiani (si calcola € 1.300 MD), lanciando, in questo modo, un messaggio di fiducia ai mercati.
La settimana si apre con i mercati Great China chiusi per qualche giorno: parte, infatti, oggi, la golden week, per la quale si prevedono milioni di cittadini cinesi in spostamento nel Paese.
Positive le piazze aperte, a cominciare da Tokyo, dove il Nikkei guadagna lo 0,7%, mentre Taiwan sale dell’1,1%.
in crescita i futures USA, sulla spinta del trovato accordo del Congresso, che ha evitato lo spettro dello shutdown: alto, peraltro, il “prezzo politico”, escludendo dall’accordo (che prevede per 45 giorni finanziamenti su livelli inalterati) $ 6.2 MD di aiuti all’Ucraina.
In rialzo anche i futures sui principali indici europei.
Stabile il petrolio, con il WTI che si muove intorno ai $ 91.39.
Gas naturale Usa a $ 2,921 (- 0,44%).
Oro di nuovo in ribasso ($ 1.861, – 0,34%).
Stabile lo spread, per quanto rimanga su livelli elevati (190,6).
Leggero ribasso per il BTP, che apre a 4,77%.
Bund a 2,83%.
Treasury a 4,61%.
Si stabilizza l’€/$, con il biglietto verde a 1,0575 verso €.
“Sprint” del bitcoin, che si riaffaccia di colpo sopra i $ 28.000 (28.087).
Ps: sono tornati gli U2. E la pop-band più famosa del mondo non poteva farlo in modo banale. Ecco perché hanno scelto The Sphere. Un posto unico al mondo, appena inaugurato, a Los Angeles. Una “semisfera” (è tagliata alla base), alta 111 mt e con un diametro di 157 mt. La cui realizzazione è costata “solo” $ 2,2 MD, rivestita, all’interno e all’esterno, da milioni di schermi Led. Con la musica diffusa da 160.000 speaker mimetizzati tra i led. Il futuro è anche questo.